È Sabato Santo, tempo dell’attesa, del silenzio prima della Pasqua, ma c’è qualcosa che non può attendere, un momento di festa, di sport, un’occasione di condivisione, per stare insieme.
L’arrivo a Langas
Dopo una settimana ad organizzare, a parlare e ad aspettare, il grande giorno è arrivato: è il giorno della partita. Una ventina di ragazzi volontari in Kenya con l’ONG Balloon Ventures sfidano a calcio una squadra di seconda divisione, la serie C locale.
Dopo le tattiche studiate il venerdì sera e il riposo del sabato mattina, ci troviamo alle 1:30 a Langas, sobborgo di Eldoret. Per darti un’idea del luogo, diciamo che non è proprio uno dei quartieri più benestanti della città e le strade sono fatte più di spazzatura che di terra. Scendiamo dal matatu che abbiamo preso in città e iniziamo a camminare verso il campo. La gente del posto sembra più sorpresa del solito nel vedere dei bianchi, così dietro di noi continuiamo a sentire “Muzungu! Muzungu! How are you?”.
Lo stadio
Quando, dopo circa 10 minuti di strada, intravediamo il campo di gioco, la tensione sale ancora, è il Langas Old Trafford di cui ci hanno parlato: le porte di legno si montano prima della partita e si smontano una volta terminata, il terreno è quasi completamente verde, cosa più unica che rara, però il fondo è a dir poco irregolare, ci sono un paio di colline in mezzo al campo e, quando iniziamo a fare i primi passaggi ci rendiamo conto che la palla va dove vuole, e non è solo colpa dei nostri piedi. Le linee laterali si vedono solo quando ci passi sopra, però si vedono, mentre per il fondo campo vige la regola “quando la palla va nel fosso è fuori”. Dulcis in fundo, correndo per il campo si possono trovare delle sorprese, sono delle torte, marroni, larghe fino a 20-25 cm. Sì, cacche di mucca, ma siamo fortunati, non sono fresche, e si può tranquillamente giocare, basta pulirsi la suola della scarpa una volta pestata e sopportare la fragranza, nel caso si preferisca un Chanel n5.
Le previsioni per la partita
L’ambiente ci carica, iniziamo il riscaldamento tutti insieme poi, a metà, c’è l’annuncio della formazione e si continua il riscaldamento con l’undici iniziale. Gli sguardi sono concentrati, decisi. Da una parte undici volontari dal Kenya, dal Regno Unito, dall’Italia, dall’Australia, nessuno di questi gioca a calcio attualmente, ma c’è voglia di ben figurare, anzi, di vincere. Dall’altra parte il Langas Faith FC, una squadra di serie C keniota, ragazzi giovani dai 16 ai 25 anni, si allenano tutte le settimane e giocano in campionato ogni weekend. Sulla carta non c’è storia, i pronostici dei nostri familiari qui in Kenya ci danno sfavoriti con un netto 5 a 0 per gli avversari ed anche le quote degli scommettitori locali vedono la nostra squadra, in trasferta, come perdente (l’1 è dato a 1.50, l’X a 2.70, il 2 a 7.00). Ma noi non ne vogliamo sapere, siamo decisi a sovvertire i pronostici.
La formazione ospite
Prima di partire ripassiamo la disposizione in campo ed i compiti di ciascuno: 4-2-3-1 in fase di possesso, 4-1-4-1 in fase di non possesso. Quando in settimana ci è stato chiesto in che posizione giocavamo ho risposto “Do you know Andrea Pirlo?” e così mi hanno messo davanti alla difesa, al mio posto. In porta c’è Matt, rugbista inglese, secondo centro, ex estremo, ottima stazza e mobilità, con le mani ci sa fare. La coppia di difensori centrali è tutta di casa ed è composta da Erick, una sicurezza e un pilastro, grande senso tattico, un libero che copre ogni buco, e Jack al suo fianco, più stopper, segue due uomini alla volta, solitamente quelli che gli passano vicino, poco importa se il suo è smarcato. A dargli una mano come terzino destro c’è Immy (UK) unica ragazza in Campo tra i 22, ex giocatrice, poca spinta sulla fascia, ma tanta grinta e aggressività sul diretto avversario. Sulla destra Danny dall’Australia, giocatore vivace, intraprendente, ma non molto abituato al calcio, segue i principi dell’Australian Football e quando vede un avversario con la palla l’unica cosa che fa è corrergli incontro a tutta. Il centrocampo è tutto europeo: io, come detto, davanti alla difesa a rompere il gioco avversario e distribuire palloni. Sul block notes del coach, di fianco al mio nome c’è scritto tra parentesi “destroyer” ed intuisco ciò che devo fare quando la palla ce l’hanno gli avversari. Di fianco a me Ryan, che si è definito simile a Gary Medel, ex giocatore uruguaiano dell’Inter, ed ha tenuto fede alle aspettative: tappa buchi, è più a terra in scivolata che in piedi. Più avanzato c’è Kyle, numero 10 dai piedi buoni e dalla grande intelligenza tattica. Le ali sono Mr. Bett e Kinyua, soprannominati le frecce volanti, il primo a numero 7, mingherlino, disciplinato, che può sempre sorprendere con la giocata giusta. Il secondo scoordinato, energico, volenteroso ma caotico, uno di quei giocatori che corre il triplo di quanto non farebbe se avesse un minimo di senso tattico. Infine a numero 9 come punta centrale c’è Nathan, dal nord dell’Inghilterra, 1m e 80cm, protegge palla, fa salire la squadra, pressa con continuità, utilissimo. A bordo campo, pronti a subentrare, Martin, Emma, Fred e Aisha, ma alcuni di questi hanno preferito giocare con i bambini e portare il tifo dalla nostra parte e non sono scesi in campo.
La partita: il primo tempo
Due tempi da 30 minuti ciascuno. Un sorso d’acqua per sopportare meglio il sole cocente (siamo oltre i 30° C) e poi pronti.. via! Si comincia. Il primo quarto di partita rispetta quanto ci aspettavamo: loro tengono palla, molto tecnici e fisici, noi ordinati in difesa, stretti, dobbiamo prendere le misure. Hanno un paio di occasioni, ma il nostro portiere si supera e loro sono poco precisi, talvolta altezzosi, cercano la giocata, è evidente che ci sottovalutano e vogliono divertirsi. Poi al ventesimo succede l’inaspettato: pigro giro palla tra i loro difensori, dal centrocampo chiamiamo maggiore pressione, alziamo il pressing, Nathan intercetta sulla trequarti, fa fuori un difensore, incrocia un rasoterra sul palo lontano, goal! 1 a 0.
È puro delirio. La nostra panchina esplode, e con loro una trentina di bambini che tifavano per noi. Tutti corriamo incontro a Nathan e lo travolgiamo. Siamo davanti.
Loro sono sorpresi e accusano il colpo, alziamo il baricentro della squadra e conquistiamo una punizione sulla trequarti in posizione defilata. Kyle batte splendidamente e la palla attraversa tutta l’area, la sfioriamo in tre, ma niente da fare, termina a lato. Fine primo tempo, tutti a bere un tè caldo, ahn no scusate, un sorso d’acqua fresca.
La partita: il secondo tempo
Cambio di campo e si riparte. Loro hanno cambiato atteggiamento, dopo la ramanzina dell’allenatore sentono la pressione ed ora cercano di essere più concreti e convinti. Il copione del secondo tempo si può descrivere con una singola parola: catenaccio. Per chi non avesse familiarità con questo termine, Garzanti lo definisce come “tattica di gioco esasperatamente difensiva”, in altre parole tutti dietro la linea della palla e a ripetere il motto “qui non passa nessuno”. Ce la mettiamo tutta, loro hanno numerose occasioni e le sprecano per imprecisione, salvataggi dei nostri giocatori, o semplicemente per sfortuna.
È il 13esimo minuto e loro creano una confusa azione d’attacco nella nostra area, dopo numerosi contrasti la palla finisce sui piedi di un loro attaccante che, a un metro dalla porta, insacca. Il fuorigioco è palese, almeno per tutta la nostra squadra, ma l’arbitro incredibilmente convalida. Ebbene sì, c’era anche l’arbitro. Probabilmente una persona incontrata camminando verso lo stadio, o il guardiano delle mucche del campo a fianco, non lo so. Comunque una persona molto simpatica e sorridente, solo non troppo attenta ai fuorigioco e per niente parziale nei confronti della squadra più debole (giustamente!).
Cerchiamo di intavolare un discorso calmo e tranquillo con l’arbitro, come si vede fare solitamente in una partita di calcio, per spiegargli il nostro punto di vista sulla posizione del giocatore. Niente da fare. Invochiamo la VAR, ma per un problema tecnico non è disponibile in quel momento. A quel punto ci giochiamo l’ultima carta e cerchiamo di fare gli occhioni tristi per impietosirlo.. funziona! Goal annullato, è fuorigioco. Evvai!
Nel frattempo si è sparsa la parola ed il pubblico ha raggiunto circa l’ottantina di persone, tutti under 14 e tutti pronti a fare da raccattapalle, infatti non riusciamo a far passare il tempo. Gli ultimi dieci minuti sono un assedio, non usciamo più dalla nostra metà campo, le energie scarseggiano, stringiamo i denti, non c’è più ordine tattico, solo difendere e sparare la palla avanti. Ogni azione è pericolosa, il pathos è alle stelle, ci mettiamo corsa, sudore, ci sosteniamo l’un l’altro. Ecco che arriva il triplice fischio, è finita!!
Una giornata da ricordare
È stato un match epico, e poco importa se hanno fatto 2 goal negli ultimi 8 minuti ed abbiamo perso (un rigore ed un tiro da fuori area per la cronaca), abbiamo lottato, resistito e tenuto testa ad una squadra di livello, gettando il cuore oltre l’ostacolo e dando tutto ciò che avevamo. È stata una giornata da ricordare non solo per la partita in sé, ma per ciò che è successo poi.
Tutti a centrocampo a stringersi la mano e poi a comporre un unico cerchio, abbracciati, come un unica squadra, quella umana, quella di ragazzi che vogliono divertirsi indipendente dalla lingua, dalla cultura, dal paese di provenienza, dal portafoglio. Ci siamo ringraziati a vicenda per la lealtà ed il rispetto in campo, per l’impegno, per l’occasione che ci siamo dati, ci siamo stretti e ci siamo fatti l’in bocca al lupo per il futuro. Come spesso succede qui in Kenya, quando ci sono molte persone riunite per un evento, uno prende la parola e prega per ringraziare. Così è stato.
Era Sabato Santo, tempo dell’attesa, del silenzio, prima della Pasqua, ma c’era qualcosa che non poteva attendere e così a Langas, sobborgo di Eldoret, Kenya, c’è stato un anticipo di festa pasquale, di gioia, di fratellanza, di umanità, di vita.